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Che cosa avviene quando un artista di oggi incontra un artista di ieri e vi scopre una personalità che lo affascina, uno stile di vita che lo colpisce, un'opera che gli rivela risvolti inaspettati, delle zona d'ombra da illuminare? Avviene che l'artista di oggi si fa tanto partecipe dell'artista di ieri da identificarsi con lui, da scriverne una biografia interiore come questa, in prima persona ma non romanzata, facendo proprio il linguaggio tecnico dell'altro. È quanto è avvenuto a G.A. Spadaro nei confronti di Francesco Borromini. Il risultato è il libro che il lettore ha tra le mani, qualcosa di più delle solite biografie e dei soliti romanzi: una narrazione che ha precise basi nella realtà e all'immaginazione concede solo quel che è necessario per riempire verosimilmente i vuoti che la cronaca e la storia hanno lasciato. Francesco Borromini (Bissone, Lago di Lugano, 1599 - Roma, 1667), in una crisi d'ipocondria, la mattina del 2 agosto 1667 si gettò sulla propria spada, alla maniera degli Antichi, e morì alle cinque pomeridiane: Spadaro lo vede sul letto d'agonia mentre ripensa l'intera sua vita, dagli esordi come scalpellino alla Fabbrica di San Pietro sino a diventare uno degli architetti più famosi della Roma barocca, in perenne contrasto col Bernini. La descrizione delle vicissitudini umane del Borromini è rigorosa, quella delle motivazioni di tipo simbolico-esoterico del tutto plausibile.